lunedì 6 dicembre 2010

Skënder Drini / Eclissi di una luna di pietra / romanzo


I

Ho detto agli attori di lasciare la prova. La pièce stava vacillando, veniva buttata giù senza alcun sentimento e senz’anima. I due grossi ventilatori giravano in vano, come due perdigiorno vinti dall’arsura di quel giorno d’agosto. Non si può combinare niente di serio con il sudore che ti cola a fiumi, con gli attori che sbadigliano e con il pensiero su un altra pièce, come ce l’avevo io. Volevo rifare l’Amleto su una piattaforma molto parti-colare.
Gli attori si sono sparpagliati un po’ dovunque. Io sono salito nella hall. Ho acceso una sigaretta cercando di non pensare a niente, quando mi hanno chiamato dal balcone.
- Vieni un po’ qua, Bert…
- Che c’è? - ho risposto.
- Guarda un po’ il tipo laggiù…
La piazza davanti al teatro era deserta. Ebbi comunque quest’impressione anche se di fronte si trovava un uomo con le mani incrociate, un uomo con un lunga barba, troppo nera e sottile da asceta, che gli arrivava fin su petto. Anche i capelli gli arrivavano fin lì. Fece alcuni passi misurati e giunse in mezzo alla piazza. Alzo la fronte al cielo e rimase così per un pezzo.
- O Dio! Quello ce l’ha con noi… - disse con voce tremula l’attrice che mi aveva chiamato in balcone.
- I capelli, la barba, l’abito… Tutto nero! - sussurrai e nello stesso istante ebbi l’impressione che quella piazza stava diventando sempre più deserta.
- Ce l’ha con noi! Lui ci sta sfidando… - proseguì l’attrice.
Cercai di vedere gli occhi di quell’uomo. Il suo sguardo mi forava la fronte, ma era impossibile vederlo negli occhi. Guardai il suo abito nero, cucito con gusto, la sua cravatta fine, e le scarpe lustrate.
“Ha un’eleganza minacciosa…” non so perché mi venne da pensarlo.
- Sarà qualche straniere, di quelli col delirio della scena…
- Qualcosa mi dice che conosco quest’uomo… - ho detto e sono uscito di corsa verso la hall.
- È sempre lì. Non si schioda! Mi giunse la voce della attrice da dietro. Ma, lui scappò non appena mi vide sulle scalini esterni. Si scostò come se venisse pedinato, buttando dietro la spalla sinistre con un gesto improvviso, la sua lunga barba.
- Alfred! Fred… - feci per chiamarlo, ma me ne pentii. Come avevo fatto ha pensare a quel ragazzo che non vedevo più da anni? Mi prese una paura improvvisa, come se avessi chiamato un morto. Quell’uomo, di Fred, non aveva che la fronte. Grande, ampia, socratica…
Lui mi girò le spalle e io riconobbi anche il passo di Fred, lungo, buttato dall’alto e un po’ forzato? Non ave-va sempre fatto tutto senza voglia?
Lo seguì. Ora lui marciava sul marciapiede aprendosi con le mani la via tra le gente. Non dribblava nessuno, non evitava nessuno, ma li allontanava con la mano tesa, come un ordine, come una minaccia. Nella sua andatura c’era qualcosa di innaturale e di spaventoso, per questo la gente gli sbaragliava la strada. Solo davanti al Bar Europa indugiò a proseguire dritto come un razzo e io sentii pronunciare due parole di fila. La prima fu “il pazzo” e la seconda: “l’Apostolo”. Lo vidi girarsi verso la vetrata del caffè. Dal tavolo dietro il vetro si alzò un giovane di statura alta che gli si fermò davanti. Il mio uomo allungò la mano e puntò con l’indice in direzione dell’altro. Anche l’altro puntò il suo indice. Le loro dita si incontrarono nello stesso punto, poi il mio uomo come se si fosse ricordato di qualcosa, sembrò pentito del gesto e allontanò la mano in fretta.
- Fred… - lo chiamai io a mezza voce, mettendoli una mano sulla spalla. Potevo sbagliarmi, ma non volevo sbagliarmi. Adesso volevo che lui fosse Fred in carne ed ossa.
Lui si scostò senza rispondere. Mi convinsi che era proprio Fred. Un altro mi avrebbe chiesto cosa cercavo, si sarebbe anche stupito.
Lo raggiunsi alla fermata dell’autobus, ma non riuscii a trattenerlo. Lo seguii oltre e lui si fermò da solo, men-tre io stavo pensando di rinunciare.
- Che hai da seguirmi? – mi chiese girandosi a metà verso di me.
- Fred, ma io… - fui colto alla sprovvista e volli pararmici davanti, ma lui me lo impedì e riuscii solo a vederlo di profilo.
- Che vuoi da me? Non lo vedi che sono in piena eclissi? La metà della mia faccia è oscurata… - disse lui con una voce grave, che sembrava uscirgli da dietro la schiena. Ebbi a pensare che lui non si trovasse a metà eclissi, ma in pieno oscuramento. Lo pensai senza pena e senza confusione. A sangue freddo, come una constatazione su un perfetto sconosciuto. Non pensai che fosse così, ma ecco che così lo pensai.
- Quand’è che sei arrivato? - gli chiedi.
- Io non sono arrivato. Io sono sempre stato qua - rispose lui con un tono da predicatore.
- Fisicamente non ti trovavi qui - gli risposi con lo stesso tono.
- E va be’… Così sia…
- Ho avuto nostalgia di te… - cercai di dire con un po’ di calore. Mi era veramente mancato quel ragazzo.
- Sono nel bel mezzo di un’eclissi e non riesco a ridere, ma posso ghignare. Tu credi che ero scappato dal comunismo? Se vuoi saperlo sono scappato dalla mia gente, da te, da gli angeli di guardi, sono scappato da quelli che mi avevano ricoperto di piume… Io volevo proseguire, ma lui mi trattene con la mano, con fare autoritario. Le sue parole erano gravi, ma era ancora più grave, che mi stava trattenendo di spalle. Era umiliante.
- Questa città è molto migliorata. Si è europeizzata… - disse all’improvviso.
- Dove lo vedi? – gli domandai un po’ stravolto.
- Non aggrediscono i pazzi. Al massimo li inseguono, come fai tu.
A poco a poco mi stava facendo arrabbiare. Per quel-lo era come far tendenza, come menar vanto. Lui era stato una specie di narciso, o per dirla meglio avevano cercato di renderlo tale. Avevano agito così i suoi genitori.
- Mi puoi procurare un mantello nero. Te lo pago costi quel che costi…
- Ne vuoi uno col cappuccio? Gli chiesi con una specie di ostilità.
- No! Non voglio coprire la faccia. La gente deve vederla quando ci sarà l’eclissi totale.
Per un attimo ebbi a pensare che era stato proprio Fred che aveva diffuso il panico de cataclisma che sarebbe successo. Sarebbe venuto in seguito ad una eclissi totale, non prevista dagli astronomi. Da tempo la città brulicava di sette. Entrava e uscivano protestanti bianchi, fragili e ingenui, che non avevano esitato a scendere dal Nord in questo paese, dove la religione l’avevano fata saltare in aria con la dinamite. Questi erano morbide gramigne, spezzate in due, dalla debolezza della schiena. Venivano predicatori di Bahai, universali nella loro bontà e nella loro lingua, Testimoni di Jeova, con una mistica turbata… Vi approdavano avventisti, pronti a lavare i piedi a chiunque mettesse piede nella loro setta… Ma quasi tutti avevano scelto un brutto momento, nel momento della resa dei conti… Cosa avrebbero avuto in cambio quelli che avrebbero sposato la setta? Avevano forse diffuso l’idea del cataclisma in cambio di un compenso? Quando sarebbe successo? Non erano stati loro a seminare il panico. Solo Fred lo poteva fare. Poteva essere pazzo, poteva fingersi pazzo. Ma, il peggio era che se avesse continuato così, avrebbe potuto impazzire per davvero.
- Arriverà l’eclissi totale! Arriverà per punirvi, perché mi avete mandato in Europa come un mite agnello e l’Europa mi ha sbranare! – disse lui con rabbia. Ora i suoi occhi si erano accesi e si erano ingranditi. La metà del suo volto a sua volta si era oscurata ancora di più.
Lui lanciò uno sguardo intorno e aspettò che si avvicinasse un bambino che passava con una bottiglia di limonata in mano. Gli estorse la bottiglia. Me lo mise davanti al naso, poi la lasciò cadere a terra con un finta delicatezza, come per mostrarmi che lui non era più quel mite agnello che l’Europa aveva sbranato. La bottiglia andò in mille pezzi col rumore di una bomba, che esplode inaspettata, mentre io notai a malincuore che i passanti non si indignarono minimamente.
- Lo vedi? Nessuno si è disturbato! Fottuti meschini! Mi hanno accettato così come sono, ma non mi accetteranno mai diverso questi cani! - disse lui con asprezza e cercando di cogliere i passanti con un gesto incontrollato della mano.
Fui preso da una specie d’ansia al pensiero che anche il bambino era andato via senza emettere il mini-mo suono. Così anche lui l’aveva accettato come era? I miei occhi si posarono sul margine dei nostri pantaloni unti di limonata. I suoi erano veramente bagnati. Volevo dirgli che l’eleganza non si sposa con la ferocia, ma non ne ebbi il tempo, perché lui in tanto si era allontanato. Girai e mi diressi da dove ero arrivato. A tratti mi sentivo pensieroso e svuotato. Mi parve di aver abbandonato quel uomo al suo destino. Mi sembrò come se mi fossi separato troppo facilmente da lui, come da un passante, di cui si ha solo una impressione istantanea. Al Bar Europa non si era ancora mosso quell’energumeno. Attorno a lui si rideva e si facevano i brindisi con i tambler pieni di cognac. Aspettai per sentire il nome di Fred, ma non potevo captare niente per via del vetro. Lui alzò gli occhi verso me. Mi aveva visto mentre parlavo a Fred. Io non compresi perché allungai il braccio verso lui e toccai il vetro, come aveva fatto Fred. Lui ebbe un attimo di esitazione e poi fece altrettanto. I nostri indici coincisero. Lo vidi negli occhi. Aveva appena sorbito una celia dal famoso regista della città. E se gli avessi parlato? Cambiai idea. Andai al teatro.