lunedì 10 giugno 2013

IL MONITO DI KASEM TREBESHINA

Il monito di Kasëm Trebeshina
Nato nel 1926, Kasëm Trebeshina fu il più lucido e il più coraggioso tra gli scrittori albanesi che si sarebbero distinti per la loro dissidenza politica ed estetica. A differenza di Poradeci, il suo non fu un autosacrificio firmato con il silenzio, ma pagato con la prigione. In questo gli assomigliano per destino il Kuteli, e il Rreshpja.
Non è questo il luogo per ripercorrere tutta la sua vita, ricca di eventi in gran parte drammatici, ma anche di grande impegno nel lavoro letterario. Ma si vedrà con una toccata e fuga il suo profilo da dissidente sia nei confronti della politica e della logica del regime, ma in particolar modo – ciò che a noi interessa –, nei confronti del realismo socialista.
In Italia, quest’anno è uscito presso un editore romano [Aracne, 2007], la sua autobiografia Allori secchi, con in appendice il suo famoso monito chiamato da lui Promemoria.
Questo promemoria datato 1953 di Trebeshina, visto il tempo e visto l’indirizzamento così diretto alla persona del dittatore, rappresenta un documento senza pari in tutta la Storia del Comunismo Postbellico nell’Est Europeo. Ma forse è proprio la sorpresa di questo coraggio così spontaneo, così lucido e così radicale che lo “salva”. In verità, con questo atto Trebeshina firma il dramma della sua vita. Da questo momento infatti, cominciano gli internamenti (in prigione o in manicomio) dello scrittore da parte dello stato. Reclusioni che finiranno con l’apertura del paese al mondo civile, dopo la caduta del Muro. Ma Trebeshina evita la pena capitale. Alcuni intellettuali sostengono che la sua vita fu salvaguardata anche grazie ai legami importanti che la sua famiglia aveva con l’élite del paese. Trebeshina scrisse questo promemoria dopo alcune vicissitudini alla Lega degli Scrittori Albanesi, che lui stesso ci descrive negli ultimi capitoli della sua autobiografia. Fu questa la goccia che fece traboccare il vaso. Il giovanissimo scrittore era da poco tornato dalla Russia. Durante i suoi studi (rimasti incompiuti) a Mosca, era entrato in collisione con la massa di burocrati che girava negli atenei dell’allora Leningrado e di Mosca. Già il comitato politico degli studenti albanesi, aveva cominciato a dargli del pazzo, e a cercare di internarlo negli ospedali psichiatrici. Vale per Trebeshina, il detto di Swift: Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui .
Il ’53 fu l’anno della morte di Stalin, e lo stesso Trebeshina non mancò di dedicargli una elegia. Sincera, stando a quanto lui stesso ci dice. Anche lui era, per usare la felice espressione di Badiou, infetto dalla passione del reale. Ma, il motivo della sua presa di posizione così radicale, riguardava molto di più la letteratura e la politica culturale che non la mera politica.
Già da anni, il giovanissimo Trebeshina aveva mostrato apertamente la sua avversione per la via linea politica seguita del partito. Quello che influenzò decisivamente la stesura del Promemoria, fu l’arbitraria e totale censura imposta dal partito all’unica casa editrice che allora esisteva in tutto il paese.

Si sa che il mio romanzo Rinia e kohës sonë era stato scritto già nel 1948, mentre l’altro romanzo Mbarimi i një mbretërie è del 1951, e nemmeno va dimenticato che il romanzo Harbutët di Sterjo Spasse era stato scritto già nel 1948. Allora perché il partito ci mette lo zampino e proibisce questi scritti più vecchi e dà tempo a Dhimitër S. Shuteriqi di scrivere nel 1952 il suo romanzo senza nessun valore Çlirimtarët? Perché il Partito pubblica con un rumore assordante questo romanzo? Perché mobilita tutti i cavalieri feudali della critica per pubblicizzarlo come il primo romanzo in albanese?... E non solo come il primo romanzo, ma come un grande romanzo della Letteratura Albanese nonostante si sappia che in Albania siano stati scritti dei romanzi anche prima, e in lingua albanese!... È degno che un intero partito si occupi di cose del genere?
In verità il problema della pubblicazione, Trebeshina ce l’ha ancora oggi, dopo più di mezzo secolo! Quel poco che è stato pubblicato della sua opera, si può leggere grazie al lavoro di pochi appassionati, come Buzuku nella Kosova e Ars in Albania. Gli editori ufficiali con i loro comitati di lettura diretti e composti da editor e lettori vecchia scuola più che altro promuovono Kadaré e i suoi epigoni. I loro investimenti storici! Buona parte dell’editoria nella odierna Albania, rimane sotto l’ombrello di ferro di comunisti & figli.
È merito innegabile di Trebeshina, il fatto che lui comprese e denunciò subito la portata nefasta del “realismo socialista”, che per una letteratura (come quella albanese) che si era appena risollevata (accade durante gli anni ’30) ed entrava nell’epoca dell’originalità e del professionalismo, questa letteratura di Stato, era quanto di peggio ci si poteva augurare.
In questo Trebeshina ha come confratello (maggiore) Evgenij Zamjatin, e nessun altro. Entrambi erano stati dei revoluzionari.
Kadaré ha denunciato apertamente il regime solo dopo la sua fine! Trebeshina aveva ventisette anni quando scrisse il suo promemoria. Zamjatin pubblicò il suo articolo “Ho paura” (1920), all’età di 36 anni. Una decade dopo (1931), scrisse una coraggiosa lettera a Stalin, in seguito alla quale, grazie soprattutto alla mediazione di Gorkij riuscì a ottenere il permesso di recarsi all’estero. Aveva già fatto stampare sempre all’Estero, il suo romanzo più importante, l’antiutopia “Noi” . All’inizio Zamjatin aveva pensato a un libro di fantascienza. Poi però, man mano che il libro prendeva corpo si trasformò in una anti-utopia, o più semplicemente nella descrizione di un non luogo . Il romanzo è noto soprattutto per avere influenzato in modo decisivo le antiutopie di Huxley, e quella di Orwell, influenza prolungatasi fino a 1985 di Burgess.
Vediamo con che nitore, Trebeshina aveva visto:

Tutti qui alla Lega, in armonia anche con i Suoi rappresentanti, cantano in modo ripetitivo un inno ad un realismo chiamato “socialista”. Non c’è bisogno di una particolare intelligenza per arrivare alla conclusione inevitabile che il realismo o esiste o non esiste: o esiste un “realismo”, o, dal momento in cui gli viene messa una coda, smette di esistere. Il realismo o è realismo, o non lo è affatto ed è questa la ragione per cui questa corrente letteraria già dall’inizio parte in modo sbagliato e lascia dubbi sul suo futuro di entità mostruosa.
Lo stesso nome realismo socialista diventa garanzia di storpiature mostruose che solo ora hanno iniziato ad apparire con tutta la chiarezza della loro forma e del loro contenuto.
Ma vediamo concretamente, il contenuto delle opere letterarie del realismo socialista, sia pure di quelle migliori. Un ingeniere bravo, un ingeniere cattivo ed uno che ha sbagliato e che si corregge!... Un contadino bravo, uno cattivo ed uno che si corregge!...
I comunisti sono sempre gli eroi della situazione, vengono nelle pagine del libri o sulle scene dei nostri teatri solo per recitarci monologhi dal contenuto eroico!...
Torniamo indietro nella storia e vediamo come andavamo le cose nel tempo di Luigi XIV.
Lì i ruoli erano divisi nella maniera più precisa. I re ed i principi si erano assicurati la loro partecipazione nelle opere più serie. Essi si muovevano solo nelle tragedie, mentre il popolo, insieme a tutti quelli che erano più in basso dei re e dei principi, aveva il suo posto nelle opere buffe ed era oggetto di burla, di derisione e di offese di tutti i tipi.
Ora la mia domanda è questa: è possibile accettare e considerare giusto che una cosa del genere venga applicata anche nel secolo ventesimo ed in una società che pretende di essere socialista?
È chiaro che il realismo socialista ha legami diretti con le idee dell’assolutismo francese, sia in teoria, sia in pratica. Nonostante ciò la cosa peggiore non si manifesta nella pratica degli scarabocchi letterari, che comunque ingiallirebbero nelle vetrine delle librerie e molto presto verrebbero dimenticati dagli stessi autori. La cosa peggiore, secondo me, sta nel fatto che si sta organizzando tutto il lavoro letterario secondo i modelli medievali degli ordini religiosi dei monaci.
Così, la Lega degli Scrittori è organizzata come un Ordine di Monaci Medievali. A capo della Lega è un Grande Maestro e tutti sono obbligati ad ascoltarlo.
Non lo capisce che è un concetto ed azione medievale dividere in questo modo “funzioni” e “privilegi”?
Ma vediamo come ha agito Lei durante questi anni.
Lei decide al Comitato Centrale che Kolë Jakova è un grande scrittore e tutti approvano la Sua opinione. La critica grida a squarciagola che Halili e Hajrija di Kolë Jakova è una grande opera!... Poi è Dhimitër S. Shuteriqi a guadagnare la Sua attenzioni e i Suoi favori quale presidente della Lega e quale…
Meglio lasciare stare questi dettagli!...
Gli scrittori sono cittadini con diritti uguali a tutti gli altri e non è giusto che debbano rispondere nella maniera più illegale ad una censura tra le più strane. Se per una ragione o per un’altra, Lei insiste che ci sia una censura, allora che venga creata come una istituzione e che eserciti apertamente le sue funzioni. Così sapremmo a chi rispondere e non avremmo tra i piedi i funzionari del partito che, anche se non sono competenti, vengono e danno pareri lì dove nessuno glieli chiede.
Qui non si tratta di uno o due scrittori, di me o di qualcun altro, qui si vuole mettere in evidenza il fatto che, senza saperlo, state costruendo una letteratura medievale, con concetti medievali ereditati attraverso l’assolutismo francese. Una letteratura del genere ci fa tornare indietro al tempo di Luigi XIV. È tempo che si rinunci a pratiche simili a quelle che si stanno applicando nella nostra società e che si capisca una volta per tutte che l’arte, essendo di una natura specifica, non può essere inclusa nelle forme organizzative del partito. L’arte, anche se è superstruttura e nasce da una struttura definita, per via della stessa forma della presentazione, acquisisce valori e forze tali che stranamente la fanno vivere anche dopo che la struttura che l’ha partorita è morta!... La Società Greca Antica è morta da tempo, ma le opere di Omero, Eschilo, Sofocle e degli altri vivranno in eterno. La stessa cosa possiamo dire anche di Dante.
Da ciò risulta che gli interventi brutali nelle faccende dell’arte non sono accettabili, soprattutto da parte di persone che non hanno la minima idea della sua natura particolare. Bisogna porre fine alle forme monarchiche ed ai diversi interventi e lasciare tranquilli gli scrittori nella loro ricerca lungo i sentieri difficili delle vere vie dell’arte. Non è opportuno che interveniate, aggiungendo alle reali difficoltà nell’arte altre difficoltà artificiali tramite i vostri funzionari che conoscono solo la pratica burocratica quotidiana, perché l’arte non può essere un esercizio ufficiale di azioni pianificate da parte di un centro plenipotenziario. Non dovete trattare la Lega degli Scrittori dell’Albania come un prolungamento organizzativo dei vari anelli organizzato dal Partito del Lavoro dell’Albania.



Zamjatin invece aveva scritto (lo cito da Che cos’è il realismo socialista di Andrej Sinjavskij):

«…può esserci vera letteratura solo là dove la fanno non degli impiegatucci d’ordine e sottomessi, ma dei folli, degli eremiti, eretici, sognatori, ribelli, scettici. E se lo scrittore ha il dovere di essere assennato, ortodosso, se egli deve essere utile, se non può fustigare tutti come Swift, se non può irridere tutti con Anatole France, allora non c’è una letteratura bronzea, ma solo una letteratura cartacea, da giornale che oggi lo si legge, e domani si usa per avvolgere il sapone del bucato». E più oltre egli dice: «Ho paura che non avremo un’autentica letteratura fino a quando non guariremo da questa sorta di nuovo cattolicesimo, che non meno del vecchio teme ogni parola eretica. E se questo male si rivela inguaribile, allora ho paura che la letteratura russa ha un solo futuro: il suo passato ».

I punti di convergenza sono molti. Dal timore per il futuro della letteratura, alla costatata concezione medievale della produzione artistica centralizzata. Ma se la letteratura russa aveva paradossalmente un futuro alle sue spalle, che danno si recava alla letteratura albanese che solo negli anni ’30 iniziava a prendere un corpo moderno? E non aveva un futuro nel passato come quella russa? Misurare il danno recato dal diktat estetico del realismo socialista sembra impossibile. Ma una cosa è certa, quel vuoto non si riempie con l’opera di nessun Kadaré.Entrambi questi narratori ricreduti che venivano dalle file dei rivoluzionari, vedevano l’homo narrator imbavagliato. Poiché l’homo narrator sceglie da solo le sue incarnazioni, e poiché la sua gamma spazia specialmente tra gli esseri umani meno conformi alle regole del potere temporale, meno adatti all’indottrinamento.
Il realismo socialista cercò di condannare la letteratura ai lavori forzati. E l’homo narrator reagì grazie al coraggio un po’ folle di Zamjatin e Trebeshina, di Bilal Xhaferri e Frederik Rreshpja, grazie all’intelligenza di Milan Kundera e il lavoro degli scrittori nel resto del mondo che era libero. Ma libero dallo comunismo sovietico, non vuole dire libero dal male.
In qualche modo, tutti i rappresentanti dell’homo narrator durante il secolo subirono il potere del male, soffrirono della banalità del male. Così Lorca, così Benjamin. Così tutti gli altri giusti.
Forse è qui che sta il loro valore, nel fatto che nonostante tutto il male del Secolo Breve, loro mantennero accesa la fiamma della narrazione, e fu così che tennero testa alla barbarie del dispotismo che in modo storicamente inedito aveva a disposizione una intera industria.
Vissero per raccontarla. Apportando addirittura nuovi generi e nuove arti. Arricchirono il mondo della vita, come mai era stato fatto prima. Grazie al loro lavoro, nonostante le terribili lacerazioni, riuscirono a mantenere in umanità l’essere umano. Furono quei poeti che Platone venticinque secoli prima aveva bandito dal governo dello Stato, a curare quel tessuto che la politica dei misosofi cercò atrocemente di distruggere. Salvarono l’uomo salvando l’arte. Pensarono innanzitutto all’arte, ma resero la loro arte vicina ai problemi dell’uomo. Abbellirono con la loro coscienza, la coscienza malata del Secolo. Senza la loro oper il ventesimo secolo sarebbe una fossa comune, la tomba delle ideologie, dei carnefici e delle loro vittime.
Vi fu un altro grande albanese, un francescano, l’ultimo, a salvaguardare la memoria umano in Albania. Aveva la modestia di chiamarsi autore non scrittore. Padre Zef Pllumi, 1920-2007. Uscirà prossimamente nella maggiori lingue europee la sua opera: Rrno vetëm për me tregue, “Vivi solo per raccontarla”.

(A. C.)