Mi
sono svegliato un
martedì
mattina.
Il martedì era giorno in cui non amavo la gente. Il lunedì ancora
un poco, ma il martedì non l’amavo affatto.
Poi toccava al mercoledì quando io compativo la gente e così i
giorni della settimana si alternavano con il mio amore per la gente, scivolando verso il fine-settimana, per poi lasciar posto ad un’altra
settimana tale quale la precedente.
Lei
mi aveva messo
il braccio al
collo e
capì che questa era la ragione per cui
stavo
soffocando.
Un braccio smilzo, diafano, come un modellino d’anatomia di vetro
dove si vedono le ossa e che sulla superficie tiene peli neri e radi.
Di martedì lei raccoglieva dentro il letto tutto il freddo del nord
e assorbiva senza ostentare
piacere
tutto il calore del mio corpo. Di martedì io
me ne
allontanavo molto, andavo fino al margine del letto e così facendo
mi è anche capitato di cascare giù.
Lei
ha un bacio che a volte mi sembra un timbro, ma uno esangue
però rimasto senza inchiostro; altre volte è come se avessi una
specie di ferro di cavallo schiacciato contro le mie labbra. Poi
non
so come mai, mi passa per la testa l’idea che lei non mi
abbia mai
baciato con le labbra ma con la mascella. Ha una mascella
testardissima, rivolta un po’ verso l’interno, che ricorda quelle
sporgenti dell'uomo
di Neanderthal, o giù
di lì.
Il
periodo preciso
non
lo saprei dire.
Sono però certo che questo
tipo di
mascella non è mai arrivata fino all’homo sapiens. Fatico a
respirare ma ho paura di allontanare il suo braccio dal mio collo. Ho
paura che le si spezzi e poi valla a sentire. Con un braccio di vetro
freddo così c’è sempre il rischio che si spezzi. Cerco di fare un
cunicolo
nel letto e nel cuscino per poi schizzare via come dentro un tunnel
cercando di sfuggire al contatto di quel braccio di ghiaccio. Noto
che ho tutti i muscoli del collo addormentati e mi ricordo che questo
è uno dei miei problemi del martedì. Qualcosa tintinna e io ho la
netta sensazione che il suo indice sia rotolato giù. Il che non mi
dispiace affatto. Ogni martedì il suo indice mi dà il tormento. Di
solito me lo vedo puntato proprio quando mi sono preparato per uscire
e sono alla porta. È sempre questo il momento in cui si
punta contro di me.
Quell’indice mi detta chi devo incontrare, quante sigarette posso
fumare durante la mattinata, e prima di che ora mi conviene essere di
ritorno. Fu
una
fatica trovare il dito sotto al letto, e per di più dovetti cercare anche la fede. La portava sull’indice come non
la porta nessuno,
per dare più diktat
al suo dito plenipotenziario tramite l’anello del matrimonio. Poi
usando un tubetto sono riuscito bene o male ad incollarglielo. Ho
cercato di far combaciare i due pezzi, come quei medicastri
del medioevo, che non essendo
soddisfatti di
una
frattura, la praticavano più volte. Sì, dovevo proprio aver incasinato tutto,
l’avevo ingessato
alla rovescia, perché non riuscivo a vedere più quell’unghia con
il manicure color visciola.
Visciola!
Nefasto colore di mantelli da medioevo d’oriente! Ma dove la andava
a scovare quel rosso
scuro?
Girai quel
dito per riportarlo al suo posto, ma non era detto che le mie fatiche
finissero lì, perché mi ero dimenticato di infilare l’anello. Non
mi rimaneva granché da fare a parte ricordarmi di quei medicastri
del medioevo…Ero un poco spaventato, perché tutta questa
fantasmagoria non dimostrava altro che i mie contorcimenti per sovvertire il diktat di quel dito. Ecco che si levò contro di me mentre
facevo per uscire e mi stavo avvicinando alla porta. Contai tra me e
me fino e sette. Tanti erano i compiti che dovevo svolgere. Contai
mantenendo gli occhi verso la nostra piccina, che aveva fatto un
grande sbaglio a nascere da noi due. Aveva
commesso anche un altro sbaglio, quello di essere nata brutta. Era
difficile che nascesse un'altra bambina brutta quanto lei.
Pensavo
che per chiunque fosse
difficile riuscire a nascere bello, ci volevano miliardi di
combinazioni di cromosomi o che so! Ma
brutta
così
la poteva mettere al mondo persino quella coppia di rom, che si era
insediata al pianterreno. Sapendo che quelli sono rom uno non pensa
se hanno avuto dei figli belli o brutti. Un rom è un rom e nessuno
sta lì a impazzire
per sapere com’è fatto un rom. Ma poi, esiste la categoria del
bello e del brutto in un rom?
In
strada mi accorgo di essere rimasto senza sigarette e mi avvicino al
chiosco. Mi dà un enorme fastidio quel braccio da robot che mi
allunga le sigarette senza chiedermi nulla. La fuoriuscita del
pacchetto raggiunge e supera la velocità del suono, ma l’arrivo
del resto ha tutt’altro ritmo, ricorda la velocità del dromedario
nel Sahara. Si tratta di una sommetta infima,
ma quello lì
dentro
spera che io gli dirò di tenere il resto, cosa che io non ho la
minima intenzione di fare, manco saltasse
in aria
con tutto il suo chiosco! Ha inizio una gara a
chi
ritarda
di più. Apro
piano il pacchetto, cerco a lungo l’accendino per le tasche facendo
finta di non vedere l’accendino che lui mi ha allungato; accendo la
sigaretta e spengo l’accendino. L’ultimo atto è deciso con
l’accendino che alzo su, lo scrollo per vedere se tiene ancora un
po’ di gas o no. Con un ritardo così si metterebbe a urlare
persino
un maiale, ma quello dentro il chiosco è un maiale tra i maiali e
non urla. Un
leggero sfrigolio
proviene
dalle monetine che lui rigira
per trovare il mio resto.
In
fine lui usa la tattica della moneta più grande, che mi allunga
lasciando comoda quella più piccola. Se
oggi ho una
pazienza, devo dire che ho seguito le
mie lezioni in materia proprio presso
questo chiosco!
Dopo
non troppi passi eccomi faccia a faccia col portiere della facoltà,
con il gobbo,
con la bruttura di quella maledetta lettera
“S”? Un uomo la cui stazza distorta ghigna come una maledetta
“S”. Lui è l’antesignano
dell’uomo normale che, stando dritto e con le braccia distese,
formerebbe una bella e benedetta lettera “T”. Deviando
un poco l’angolatura delle braccia distese e poggiandola su alcuni
ripiani come nei disegni di Leonardo, questa lettera benedetta è
stata come un emblema dell’identità della razza terrestre per
altri pianeti con probabili forme di vita. Ma si può spedire loro la
maledetta lettera “S”? Mai e poi mai, poiché vedendo questa
configurazione nessuno degli altri pianeti abitati si metterebbe in
contatto con la terra. La lettera “S” è stata frutto di una
vagina maledetta e storta, è spuntata fuori avvolta in una placenta
dannata e contorta, è uscita legata da un cordone ombelicale
maledetto e distorto!
Io
mi aspetto che la “S” pronunci il rituale del mattino e la
maledetta “S” pronuncia il rituale del mattino: “Benarrivato in
questo beato martedì, professore!” Anzitutto non ci può essere un
martedì benedetto. Il martedì è stato marchiato come un giorno
maledetto da Dio. Come è possibile che
non cada in mille pezzi questa “S” baciapiedi con
tutto la riverenza che mi porta? Questo
coso è la quintessenza del servilismo,
ma è inutile dirglielo, perché ti risponde che nessuno è mai
finito dentro
per servilismo!
Separandomi
dalle maledetta lettera “S”, mi viene da pensare che neanche la
lettera “T” potrebbe essere benedetta, perché di benedetto non
ha proprio niente.
In
corridoio, davanti alla porta dove tengo lezione mi attende un’altra
persona spiacevolissima. Eccola in piedi, la mia collega, D., cara
amica di vecchia data di mia moglie e allo stesso tempo mia disgrazia
insormontabile.
Fu lei a presentarmi alla mia consorte di vetro, e fu sempre lei che
con mille sortilegi mi convinse a sposarla. Lei è stata una sciagura
simile anche per altri, ma questi non si fanno sentire perché a
quanto pare sopportano
bene la loro disgrazia. La mia collega D., ha due labbra tumide
di cui io sono convintissimo siano labbra da lesbica. Sono carnose e
forti, e dove toccano, si appiccicano come lumache.
Tutt’a un tratto me le figuro che si appiccicano anche alle labbra
di mia moglie e sul suo corpo. Non ho forse scorto sul corpo di mia
moglie echimosi di vecchiaia simili alla forma di due labbra che
premono, per cui non vi è acido capace di eroderle? Quelli sono
tatuaggi lesbici che non si cancellano mai più!
Essendo
mia collega, D. mi ha fatto sposare la sua compagna per averla
vicino. Quando mi aspetta così davanti all’entrata dell’aula mi
chiede sempre dei favori. Io non la lascio parlare, e le dico subito
che non mi deve chiedere nulla su quel tipo, Namik. Da un giorno
all’altro quello verrà espulso dall’università.
Lei
mi aspetta per fare
i suoi propositi. Segue uno spiacevole dibattito lì in piedi che mi
dà su i nervi. Entro in aula sbattendo la
porta
dietro di me. Namik è lì al primo banco. Ironico e arrogante. È
reputato come il migliore, coi voti tutti dieci, ma lo
capovolgo
io
il
suo dieci così
dovrà ripartire da 01! Verso metà lezione cito un passo dalla
Sociologia
di Gidens: “La vita non deve essere guidata da norme o regole. Le
nostre attività non cadrebbero nel caos se non si attenessero alle
regole, che definisco certi tipi di comportamento come adeguati a
circostanze date e altri come come inadeguati. L’andamento regolare
in autostrada, ad esempio sarebbe possibile se gli autisti non
rispettassero le regole della probabilità dell’auto sulla sinistra
ed altre regole del traffico!” Per queste miei
citazioni
Namik ha scatenato un putiferio in aula ma la mia predilezione per
questa citazione era assoluta e l’aula ha taciuto.
Quel
martedì io ho incontrato
molte altre avversità e subii molto odio, ma il colmo doveva
venire mentre ero
lì che uscivo
dalla porta del decanato. Per mia disgrazia proprio dietro la porta
sta appeso uno specchio e i miei occhi si sono
posati
sull’immagine della mia faccia. Che microcefalo con le guance
tirate! Che idiota! La gente si porta addosso qualche protesi, qui o
là, invece io
ho la faccia che è una protesi
massiccia e dopo quel martedì odio me stesso con
tutto me stesso!
X
Mi
sono svegliato un mercoledì mattina. Il mercoledì io amavo la
gente. Il martedì non l’amavo per niente, ma il mercoledì l’amavo
proprio. Certo, sarebbe venuto il giovedì e io avrei ripreso a
odiare la gente, e così si alternavano i giorni e i miei sentimenti
per la gente andando a finire la
settimana, per poi lasciare posto ad un’altra settimana tale quale
la precedente.
Qualcosa
mi carezza il collo. È un peso, ma è leggiadro. Mia moglie aveva
allungato
il suo braccio e capii che questo era per il motivo per cui assieme
alla carezza mi
pesava anche il respiro.
Ma questo poco importava. Contava solo il fatto che quel braccio
poggiava aderente sul mio collo. Era un braccio pieno
di salute,
ma
fine come fosse coniato nel tornio di un artista. Giungeva uguale
fino al gomito, lì prendeva un leggero inarcamento, che seguiva con
una linea elegante fino a giù. Era piena di vita, piena di fremiti,
era come un feeder
della corrente, che esce direttamente dalla fonte di energia. Il
mercoledì lei accumulava lì a letto tutto il caldo dell’equatore
e assorbiva con palese godimento tutta la frescura del mio corpo. Lei
ha un bacio singolare, che a volte mi
sembra di sentire due
petali di
rosa,
altre volte le labbra di un bebè. È delicato il suo viso, fine e
delicato,
ed
è forse la più riuscita selezione nei lunghi
millenni dopo l’homo sapiens.
Respiro
a stento, ma ho paura di allontanare quel braccio. È così gracile
che ho timore di stropicciare le sue articolazioni. Dalla posizione
in cui sono disteso vedo solo la metà della mano di quel braccio e
le lunghe unghie tinte di manicure, color di carne, che s’intona
con la pelle della mano. Di
mercoledì, quelle mani non mi sembrano artigli. L'indice dove porta
la fede non mi sembra poi
una
disgrazia. Quando faccio per uscire il suo indice si leva e fa una
mossa in alto e in basso. Questo gesto
viene seguito nello stesso modo dalle altre quattro dita e ciò per
me non è solo un semplice saluto, ma è la mano della pianista sulla
tastiera. La nostra piccolina dorme e non me la sento di svegliarla.
Non
vorrei paragonarla a un angelo, ma direi che se gli angeli
esistessero dovrebbero avere le sue sembianze. Ma la gente paragona
i bambini agli angeli, e non gli angeli ai bambini, come dovrebbe!
Anche
gli scrittori commettono questo sbaglio grossolano quando scrivono:
“La bambina dormiva come un angelo, o l’infante dormiva come un
angelo”, al posto di scrivere “l’angelo dormiva come un
bambino!” In tutti i grandi quadri del Rinascimento c’è qualcosa
che ti fa pensare e chiedere chi sia esistito prima, i bambini o gli
angeli, perché tutti gli angeli sono bambini, magnifici
bambini con le ali. I mercoledì la nostra bambina è un’irripetibile
creola,
una luce tropicale per
i miei occhi. Il secondo pensiero che ho è che tutta la sua bellezza
non può essere solo un regalo dei suoi genitori, ma anche un lavoro
suo, iniziato
fin da quando
è stata concepita nella pancia
materna,
per essere il più possibile bella, capace, e forte! Penso anche che
chi non inizia questo lavoro fin dalla pancia
materna
una volta fuori non sarà come deve essere ed è per questo motivo
che milioni di bambini una volta fuori non sanno dove sbattere
la testa! Il mercoledì nostra figlia è un’irripetibile creola,
una luce tropicale
per
i miei
occhi! Il mercoledì la nostra bambina è una creatura irripetibile
diventata tale
con le sue forze a
cominciare fin dalla pancia materna!
In
strada mi ricordo che non mi sono rimaste più sigarette nel
pacchetto e mi avvicino al chiosco. Il tabaccaio mi rincorre per
darmi il resto, ma io non lo accetto. È una
brava persona, nella sua povertà. Allo
stesso modo è bravo anche il portinaio della facoltà, che mi
accoglie. Guardandolo mi sovvengo di un paradosso che ho letto molto
tempo fa. L’uomo per essere uomo deve poter formare la lettera “T”
col suo corpo dopo aver dispiegato le braccia parallelamente alla
terra. C’era anche un degno consiglio per l’angelo della morte,
Mengelen: Sei miliardi di uomini avrebbero dovuto mettersi in fila
formando la lettera “T”. Chi non fosse riuscito a formarla in
modo esatto doveva venire scartato. Dentro questo paradosso era
implicita anche l’idea che la lettera “T” fosse una lettera
benedetta. Perché? Forse perché con questa lettera dava
il titolo al libro sacro degli ebrei, la
Torah? Il
portinaio della facoltà pur con tutti i suoi sforzi non riesce a
formare la sacrosanta
“T” col suo corpo, ma io non ho intenzione né di selezionarlo,
né di farlo licenziare.
La
mia collega D. la vedo in mezzo a un gruppo di docenti
verso la fine del corridoio.
Nel vedermi lei sorride e alza cinque dita. Questo è un messaggio
per mia moglie che è sua stretta amica. Verrò alle cinque! Lei è
rimasta nubile e non è più tanto giovane e
ciò ha fatto sì che sia un po’
chiacchierona, ma fa niente. Lei mi ha spesso dato una mano per
superare situazioni difficili con gli studenti, che a dire il vero
sono venute a crearsi per
causa mia, perché non sono un asso
nella mia materia, e me ne sono sempre infischiato di pedagogia.
Ho
cominciato la lezione citando questo
passaggio tratto dalla “Sociologia” di Giden, che spero si leghi
agli obiettivi della mia lezione: “La vita sociale è governata da
norme e regole. Le nostre attività cadrebbero nel caos, se non si
attenessero alle regole che definiscono certi comportamenti, come
adeguati in date circostanze ed altre come inadeguati. L’andamento
regolare in autostrada, ad esempio, sarebbe impossibile se gli
autisti non rispettassero le regole della probabilità della macchina
a sinistra e altre regole del traffico.” La reazione degli studenti
mi ha convinto che era pertinente agli
obbiettivi della lezione.
Il
mio giorno di lavoro finisce con me che do un’occhiata al mio
ritratto in quel grande specchio che si trova dietro la porta del
decanato. Lì mi confondo un po’. Al ritratto, già, oppure
all’autoritratto? Perché ognuno credo disponga a piacimento del
modo di presentare la sua faccia. Arriccia
il naso e quella appare stralunata, corruccia le sopraciglia e quella
appare rabbiosa, allunga
le labbra e quella appare lieta… Dopodiché
come si può non dire che l’uomo si fa l’autoritratto allo
specchio? Mi piace la mia idea e prima di dirlo ci
ho già stampato sopra
un sorriso contento di me, ma poi divento di nuovo serio perché mi
ricordo di non avere mai visto una foto di Einstein dove egli si
conceda un
sorriso. Per farla breve, il mercoledì sono una persona felice. Il
mercoledì io provo quello che chiamano
amor di sé.
Il
lunedì, il martedì, il mercoledì e gli
altri che chiudono, sono tutti giorni della settimana.
Giorni come gli altri.
Nessuno può confutare la loro natura di giorni e notti. Si ammetterà
anche che questi sono tempo. Quindi, il lunedì, il martedì, il
mercoledì etc. sono tempo. Ma, se si ammette che questi sono tempo
bisognerà che si ammetta anche che il diverso atteggiamento che ho
io verso le persone (a volte le apprezzo e a volte le disprezzo, ora
le amo e poi le odio) non dipende da me, bensì dal diktat del tempo.
versione italiana di Astrit Cani
corretto da Elena Cattaneo
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