venerdì 5 febbraio 2010

Poesie di N. Hysa

Nerinda Hysa




 POEZI
(Carne in liceita')




Sfogliando questo libro i titoli si riverseranno con celeste fluidità: Mercoledi delle ceneri, Acque, Umiltà per coloro che potranno venire, Aroma di rose, La spiaggia…, Coraggio d’orgoglio, Muri di vita, Catacombe…, Aroma…, Orizzonte, Isole dolenti (Sabrina). Ma anche: I gusti del’uomo soligno, Spiri, Elemosina tra fanghiglie, Tenerezza d’acqua… e così via, finchè non ci troviamo smarriti in un giardino profumante dove il capriccio artistico di madrenatura diviene rito, feretro, destino.
     I personaggi del libro sono persone ideali (virtuali), che pure rivestono anche una parte non indifferente nell’economia dello sentire estetico quatidiano. I giorni della settimana, il cortile, il testamento, la terra, i muri, il cane, le acque, l’anima, il balcone; pergamene, archi; il mare, le porte, il silenzio, le radici, i fiori, la spiaggia, le carte, la notte, la vita, i prati, i nomi, i sogni, la polvere, l’orizzonte, le isole… Sono tutte travi del bastimento su cui naviga  la personale mitologia della poetessa. Ma vi si trova cielo, cielo, cielo… Poi sfilano (esistono) anche persone-personaggi: SABRINA, IL GIACINTO, CAINO, TUNKA (fiore d’oblio), MAIA, DILA, il buon DIO. E sempre cielo, cielo, cielo.
     Il tutto ha luoga tra il cielo e la terra ma ciò non sta a significare per l’io poetico solo che si trova in qualche luogo, ma anche che si trova a essere qualcuno; uno che non vivachia semplicemente tra la terra ed il cielo (convenzioni cosmogoniche), ma è anche fatto di terra e di cielo.  Al quesito “chi sono” viene fornito così un primo riscontro.
     Non ci stupiamo ché non si trova menzionato il sole, dacché è onnipresente. Come la parola “sole” anché “amore” non compare, eppure regna sovrano.
     La poetessa  si è persa nel suo ideale giardino, dove non c’è mai stato il ’97 (l’anno più nero della storia del nostro paese), chiusa in un altro tempo, che non è tempo: ma spazio tra sé e sé: illusoria distanza tra l’inizio e la fine. Qui la poesia funge anche da scudo magico contro il male.
     Il procedimento tecnico di questa poesia sembra avere le radici nella pace: pace con sè e col mondo; camminando coi piedi per terra e cogli occhi rivolti al cielo. Lei ha eternato in questo libro il momento del (non)passaggio dall’infanzia nell’età adulta. Possiede  certamente una verace percezione della realtà, pure sospende ogni principio di gerarchia quandi anche il conflitto in esso o con esso.
     Ella non vorrebbe essere, è! Le interessa come ad ogni bambino solo ciò che la emoziona, non è adulta perché per un adulto l’unica emozione deriva dall’interesse. Essere, vuol dire, essere proiezione di un pensiero creatore compiuto. Questo pensiero compiuto, questa armonia in ritmo di divino silenzio, questo deserto, funge da principio di identità, come fondazione estetica dell’essere. Principio integrativo ed asse identitaria.
     Leggendo le poesie di Nerinda Hysa, si entra in un teatro color miele, dove un unico attore gioca tutti i ruoli: un ragazzo nero con l’anima azzurra. Nero perché ha benconosciuto il sole; azzurro perché non ne è più di un bambino. 

     Cosa lo rende un libro? Cosa lo distingue, ad esempio, da una tempesta ormonale? Forse una forma, un’armonia cocciuta che di quando in quando sacrifica la significazione, per un significare più alto: quello della libertà. Nerinda Hysa poesiede un raro dono, l’unico che ci rende poeti: lei nei suoi componimenti non sembra fare granchè se non lasciar parlare la poesia. Ecco un assaggio:

Acque:  Nei frangenti silenziosi dell’inverno/ son rimaste solo le ostriche dimenticate/ al solco della sabbia nomade // Il mare infangato/ con tono verde nereggiante/ e i coralli senza il bagliore rigoglioso …

   Chi ha frequentato la grande poesia a cavallo dei secoli XIX-XX, si ricorderà de T.S.Eliot o Arthur Rimbaud. Ecco l’Eliot di A.Prufrock Love Song: […] The women to the room come and go/ talking of Michelangelo… Chi è che sta parlando, Eliot o la poesia? La poesia certamente. Se paralasse Eliot, egli ci direbbe semplicemente che le donne vanno e vengono per le stanze, parlando di Michelangelo – che consta in un’immagine  (per quanto scelta) d’impronta borghese. Mentre, se intenderemo con la sensibilità che è la poesia che si apressa a dirlo, avremo:
           The women to the room come and go
           Talking of Michelangelo.
           che è sicuramente una delle imagini più lussuose che la frequentazione della musa ci fornisce. Nel caso in cui fosse il copista Eliot a riferirla, la cifra nel migliore dei casi, sarebbe ironica; mitica è quando lo dice la poesia.
    Uguale, anzi più spiccato quest’argomento in “O saisons, o châteaux“  di Rimbaud:
           O saisons, o châteaux/ quel âme est sans defauts.
     Ora se prendessimo ciò che dice il francese, ci deluderemmo :  O stagioni o castelli, quale anima non ha difetti? Abbiamo a che fare con un scarsa domanda retorica, che impoverendole si rivolge alle stagioni e ai castelli di Francia, dell’Europa e dell’umanità. Che non richiederebbe risposta alcuna, se non negativa. Ma se sentiammo parlare la poesia intesa come canto, noi abbiamo
                 O saisons, o châteaux
                 Quel âme est sans defauts?
     E si sale di livello, perché la domanda è estetica. Credo la differenza conti.

Nel volume “Carne in Liceità” vi affaccerete alla poesia come finestra dell’essere, come speculazione mitica. Ma sono poesie senza dubbio. Alcune poesia dalla Poesia, che è sintesi senza passare per tesi. Questa manciata di liriche consta in immagini della felicità, animate dal sentimento della felicità. La poetessa si è dissolta nel’oggetto del suo amore. La natura è la sua sola cultura.
     Se pur nelle poesie di Nerinda Hysa si percepisce una palpitazione in tutto esclusiva e comunque sia per tutto giovanile e femminile, dove manca qualsiasi cardine storico-geografico (i suoi indirizzi sono pure intuizioni: tempo, spazio), la sua forma tramite sentieri misteriosi trova una sua Maniera, effettiva, alta, nitida. Questa è il caso fantastico in cui la natura porta alla Maniera, quando, perifrasando lo struggente John Keats, il poeta dà poesie naturalmente, come l’albero dà le foglie.   E ci viene da pensare che la poesia non è in fondo una mania, ma è fortuna quindi talento. 
     Le poesie di Neri parlano in modo quasi impalpabile attraverso degli oggetti ideali: mare, cielo, pensatore, spiro, isola, vespro; carne come: chair, leib, flesh. I personaggi principali sono: un cane, i giorni della settimana, la nonna gracile e diletta (lontana e trasparente, senza l’ultima camicia per l’inverno); i fiori, l’unico fiore, la città… come le abbiamo sopraccennate. Nerinda H. è per me la poetessa più interessante della mia generazione, che vive in completo distaco dai mezzi di comucazione per comunicare ai pochi amici un po' di vera magia.
     Per ultimo l’autrice ha smesso di scrivere, ha smesso di essere poetessa, per diventare musa.



La mia sera

 


Questa è la mia sera

profonda

che respira

nel mio silenzio

Il cielo scuro,

teso,

senza stelle

il mare silvestre, intoccabile

e rigoglioso 

La melodia raminga alle sponde

della cervella infastidite

Un aroma di nostalgia

veleggia

nello spazio serale

È una notte

fuggita

che non so da dove arrivi.



Essa mi sta

Di fronte ed io

A lei

Fo fronte

Nelle buie sponde

Degli animi ebri

I nostri contorni

S’elevano uno sull’altro. 

 
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Tenerezza d’acqua

Regalatemi il mio fango
i giardini con l’odore del mare
l’alito del cielo
sui tronchi rigogliosi…

Elargitemi tutte queste cose
e sparite
nella linfa di questo tronco…


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Spiri


Isole amabili, fiumi
Arieggiati dolcemente
E terre di morte
Strade di cipressi
E campane alate
Piccole voci
E risa di lattante
Sopra il mio fiume…
 

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Tigli


Le case con slanci primaverili
      si svegliarono
                dalla fanghiglia forestiera…

Il praticello è libero
così come le farfalle…

Si corre…
Oasi ci attendono
alle soglie del mare…

I bimbi si colmano di fiori
Nei piccoli fusti

Posando coroncine sulle chiome levigate

 

 

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La spiaggia


La spiaggia, mandava lenti bagliori,
                             indugiava diabolicamente,
con labbra tratteggiate in blu,
           combusto diamante
                                 blu…

Essa perfidamente
                         mi origlia
                            senza chiedere
                               non fa che spiarmi
                               nei marosi  
                                               oscuri blu…
nei giorni sfinitamente blu…
Un cielo pedante,
sfuggente,
         declinato, sbiadito
              ma essenzialmente sfuggente,
                 dove hanno fine ed iniziano
                    si esecrano brutalmente
                                         pure
                                            iniziano…  


 
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Davanti alla virtù…


Scendono piano i vespri sulle foglie
Sulla mia anima questo vespro è tentato
attutito, commovente…,
il mio vespro…

Questo vespro è tutto anima
e profondità…

Sapevi che parlavo ogni notte con la tua stella…?
Che mi lanciavo dalle roccie
Ogni alba?…
Morivo ogni notte, risorgevo
due volte… al tramonto…
e mi seppellivo nella polvere
delle tue ombre?…
Lo sapevi?
Ma sei morto ormai
E sei risorto
Nel mio tramonto…


.................................................................. ......... ..... .... .. .          versione di A. Cani







 

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