sabato 6 febbraio 2010

Prose brevi di R. Dibra

Ridvan DIBRA



alcune prose tratte da "Stina e Ujkut"(UNA STAGIONE DA LUPI)








Amore di volpe

Assuefatto dalle donne della sua specie (vale a dire le lupe), il lupo ebbe brama di fare all’amore con una volpe. Incrociò lei in un mite crepuscolo di primavera inoltrata.
- Voglio fare all’amore con te, - disse il lupo.
- Questo è impossibile, - disse la volpe, - inaccettabile e irrealizzabile.
Pareva sincera nelle sue parole. Per contro il lupo fremeva dalla voglia.
- Io voglio fare all’amore con te, con le buone o con le cattive, - disse il lupo. - Che vengano pure sconvolte tutte le leggi dell’universo. Per un lupo non c’è niente d’impossibile.
La furbona, che ultimamente (più che mai) si fidava del proprio acume, fiutò subito che quella richiesta assurda celava un goffo tentativo d’inganno, uno sforzo per nulla sveglio di coprire il vero scopo del lupo che stava cercando di sfamarsi con della fresca carne volpina.
- Accetto, - disse la volpe. - ma che non sia qui. Troviamo un posto più adatto.
Si misero in cammino. Senza che avessero fatto neanche dieci passi, si udirono le grida del lupo: era caduto in una trappola mortale.
- Per una volpe tutto è possibile, - disse la volpe.
- Vi sbagliavate signorina. Io volevo soltanto fare all’amore con lei. Nessun altra cosa era mia intenzione, - disse il lupo.
Sembrava molto sincero in questa parole. Come sono le ultime parole; quelle che avvengono sul letto di morte.


Cose e persone

Era meraviglioso il tempo in cui tu ripartivi le persone semplicemente in buoni e cattivi. Ai buoni ti avvicinavi come ad amici, mentre dai cattivi ti tenevi alla larga.
Così ti avevano consigliato i libri, le esperienze, i tuoi cari; in una parola, tutti quelli che ci tenevano affinché tu avessi una formazione la più normale possibile. Tutto d’un tratto, una serata autunnale d’ottone, qualcosa si sconvolse in fondo alla tua anima: nella frazione di un secondo tu scorgesti abissi e precipizi infimi di cui non avevi idea alcuna, spalancarsi.
Dopodiché sentisti l’esigenza di fare una nuova ripartizione della gente che ti circondava. Nel primo gruppo mettesti coloro che valevano per qualcosa (vale a dire quelli che lasciavano delle tracce su questo mondo), invece nel secondo tutti quelli che sorvolano la propria vita come la brezza di marzo sulla neve congelata, senza lasciare alcuna traccia su di essa i quali, naturalmente, costituiscono di gran lunga la maggioranza.
Passò il tempo e gli squarci della tua anima presero a chiudersi. Qua e là si potevano scorgere i segni dello guarigione come le tendini dopo un’operazione di scarso successo, mentre a tratti erano rimaste tracce cineree di fuliggine, come quella che lascia il lampo quando colpisce, per poi esiliarsi in cielo. Dopo di ciò tu rivedesti l’esigenza di aggiornare la classifica della gente che ti circonda, ma nel mentre sentisti che tal cosa non era facile da realizzare: gli squarci dell’anima non s’erano chiusi del tutto (e a quanto sembrava a farlo ci sarebbe riuscita solo la morte), mentre il cervello per il momento, si trovava impreparato a siffatte analisi.
Fu allora che decidesti di lasciare la gente alla loro pace sacrosanta e occuparti dello studio e della classificazione delle cose che ti circondavano.


La solitudine del sole


Il sole gira nello spiedo della solitudine come un agnello sgozzato. La solitudine lo fa vecchio. Lo cuoce vivo. Il fatto che dalla sua combustione viene poi resa possibile la vita di milioni di mondi e di persone un po’ lo consola, ma non al punto da annientare quei serpenti di fuoco e d’ego che la solitudine dà alla luce in ogni momento. Ancora il fatto che ci sono tanti altri soli come lui che girano solitarî e soffrono, non lo consola come dovrebbe.
La diceria diffusa un miliardo d’anni prima e che continua a circolare a tutt’oggi per la galassia, secondo la quale è lui stesso a cercarsi la solitudine usando ogni minuto le orride protuberanze per allontanare ogni possibile visitatore, questa diceria dunque, o per meglio questo pregiudizio, gli causa solo un amaro sorriso cinico.
Non sanno che lui molto sovente, in particolare le notti di autunno e d’inverno, usa tenere rinchiuse nel suo petto quelle orride protuberanze (rischiando di collassare a sua volta), strutto dal desiderio di venir visitato da chicchessia. Anche da qualche pianeta del tutto minore e di seconda mano, come la Luna ad esempio.
O anche dalla Terra.


Lo stagno

Lo stagno è sempre lo stagno; non fa che dare vita ogni minuto a esseri vili. Ti seduce e ti invita misterioso come tutte le cose stagnanti e tu, pur avendo una ingente esperienza circa i falsi amici e falsi profeti, avvolti da una membrana menzognera si segretezza e di mistero, nonostante ciò dunque, assecondi quella cattiva abitudine che hanno avuto pure i tuoi bisnonni, proprio l’abitudine di provare da soli tutto.
Tardi, molto tardi quando tu finalmente sei caduto preda di una delle innumerevoli trappole che escogita ogni minuto lo stagno, ti sovvieni di certi segni premonitori evidenti, come lo sono state ad esempio le punture delle zanzare, l’ansimo fangoso dei canneti oppure i morsi velenosi dei serpenti, segni che hai sottovalutato con molta superficialità, lasciandoti sedurre come un bambino da qualche garofano raro e di scon-volgente bellezza, che solo lui poteva generare: lo Stagno.
Proprio quando ti poni e poni ad altri la semplice domanda: giustificheranno mai l’esistenza dello stagno questi rari e strabilianti garofani che egli solo da?
E come sempre in questi casi, ricevi due risposte.
Una è negativa.
Positiva l’altra.


Le esperienze

Il lunedì lui esce presto di casa e senza fare manco dieci metri si trova davanti ai piedi una buona decina di cuccioletti appena nati che, or ora cominciano a scorrazzare davanti a lui. Il sole promette bene, la gente vicina é bonaria, mentre i cuccioli – terribilmente belli e innocenti.
A mezzogiorno, quando ha fatto solo metà percorso, vede che i cuccioli davanti ai suoi piedi sono cresciuti spudoratamente in fretta e lo mordicchiano di volta in volta. Il sole scotta, la gente intorno sembra furba, mentre i cani – odiosi e diabolici.
La sera rincasa tardi. A poca distanza dall’entrata vede davanti ai suoi piedi una buona decina di vecchie cagne che, subito prendono a morderlo finché possono. Il sole è ormai tramontato da tempo, la gente ha fatto in fretta a rintanarsi ciascuno nella propria dimora, mentre le cagne sembra che abbiano preso la rabbia e non si capisce come possono essere loro i cuccioletti della mattina.
A mezzanotte inoltrata, lui si corica, convinto di essersi liberato una volta per tutte dalle cagne, quando a un tratto sente il loro guaito pestifero dietro la porta.
Allora lui comincia a domandarsi se ha fatto bene a fermasi coi cuccioli quella mattina.


Il mistero del cespuglio


Tu sei nato nella giungla, ci sei dentro da una vita e ormai puoi vantarti di conoscerla bene. La tua conoscenza è stata ulteriormente migliorata dagli innumerevoli racconti di genitori, nonni e bisnonni, che, come te, sono nati nella giungla. Inoltre, tu hai letto un’intera biblioteca di libri dedicati alla giungla.
Grazie a questa conoscenza, lei non ha più misteri per te. Ma questo fatto, vale a dire la completa decostruzione della giungla, a te, stranamente, non causa nessunissima gioia. Anzi. Provi un odio e una gelosia da monomaniaco nei confronti di tutti quelli (genitori, nonni, bisnonni, figli, esperienza) che ti hanno aiutato in questo processo lungo e faticoso di demistificazione.
E parti verso un dove, poggiando forte sulla tua tristezza come sul bastone. Mentre passi per i sentieri ormai arcinoti della giungla (schivando magistralmente le trappole che conosci come le tue tasche), all’improvviso giunge a te la vista in un angolo di un cespuglio modesto, con piante e radici ingarbugliate come le pene di un’anima malata. E sempre all’improvviso ti rammenti che nessuno si è mai ricordato di parlarti del piccolo cespuglio.
Né genitori né bisnonni, né i libri né le esperienze. Niente e nessuno. Forse non sapevano della sua esistenza e tu sei il primo a scorgerla. La tua fantasia stanca dalla lunga ricerca e senza trovare misteri, ne viene subito eccitata. Tremolante dall’impazienza, t’avventi verso il cespuglio come verso il tuo indefinito destino e ringrazi di tutto cuore la giungla per aver serbato a te un’incognita, un mistero, una chance di scoperta riservata a te e a te solo. Con le mani tremanti dalla febbre della tanto agognata scoperta apri il ventre del cespuglio e ti ritrovi davanti… un riccio. Un riccio vecchio come il mondo.
Allora tu ti lasci cadere in ginocchio e piangi come un bambino.
Mentre dietro le spalle odi come sogghignano i bisnonni.


La pelle della serpe

La serpe si spogliò della sua pelle, l’appese sul ramo essiccato del melo, e se ne allontanò senza rimorso alcuno.
La volpe passò di lì, si fermò per qualche istante, ma giudicò la pelle senza valore per lei.
Il lupo udì qualcosa circa una pelle di serpe appesa da qualche parte, ma la mancanza del sangue in essa lo lasciò completamente indifferente.
L’uomo si prese la pelle della serpe, e ne fece un paio di meravigliosi guanti per le sue innocenti mani bianche.


Bisnipoti e bisnonni

Ehi, uomo, che di giorno in giorno completi il tuo guardaroba, organizzi anno dopo anno sfilate di moda e, con questa naturale cura verso il tuo corpo, testimoni sempre di più che poche cose ti legano ormai al tuo bisnonno pigrone e sottoevoluto – la scimmia.
Ebbene, uomo, non t’accorgi (o fai finta) di un fatto alquanto strano: ogni volta che incontra il suo bisnipote (vale a dire, proprio te, uomo) la scimmia cerca di coprirsi soltanto la faccia, noncurante delle altre parti del corpo che, se le trova, naturalmente, scoperte.
Interessante. Non credi?


La relazione

L’emerito professore, insignito di vari titolo e gradi scientifici, membro onorario di una buona decina tra le più note accademie del mondo, è stato invitato a tenere una relazione nell’ambito di una conferenza internazionale che ha per tema il futuro della società umana. Per tutta la durata della settimana in cui il professore si preparò a riferire, godete di un meraviglioso stato d’animo e di salute (o vice-versa), come anche di una splendida armonia con la consorte, come anche di una perfetta intesa coi figli come anche di un notevole incremento del redito personale e famigliare. In simili circostanze, nel discorso del emerito professore, l’avvenire della società umana venivo presentato come luminoso e di ottime prospettive.
Un giorno prima di consegnare il discorso scritto alle orecchie del mondo, il professore sentì un generale indebolimento fisico e spirituale (o vice-versa), da fonti affidabili seppe che la moglie lo tradiva col suo assistente, uno dei suoi figli abbandonò la casa per dei motivi del tutto assurdi, mentre il redito personale e famigliare subì un sorprendete calo.
In simili circostanze, l’emerito professore strappò il primo discorso che gli sembrò inventato di sana pianta e per niente realista, e entro quello stesso giorno ne compilò uno nuovo dove il futuro della società umana si prospettava buio e senza via d’uscita.


L’uomo delle nevi

Lo yeti lasciò i deserti di giaccio, le trote congelate e le eterne bufere partendo alla volta della città che, da lontano, sembrava una torcia infuocata. Gli fu riservata un’accoglienza a dir poco regale: pranzi a banchetti senza posa, conferenze stampa a non finire e incontri con diverse personalità importanti, curiosi d’ogni sorta, giornalisti e reporter che non lo lasciavano un minuto in pace.
Proprio adesso cominciò la tragedia dell’uomo delle nevi: dalla perdita della solitudine.
L’indomani lo yeti lasciò la città che ardeva come una torcia infuocata e partì alla volta dei deserti di ghiaccio, delle trote congelate e delle eterne bufere.


Al circo

Sotto il fischio ritmico della frusta che porta in mano (nella sinistra) il domatore-uomo, gli animali corrono in cerchio attorno all’arena, testimoniando senza tregua la totale alterazione del loro comportamento e la riuscita manomissione della loro indole. Fuori hanno smesso come una pelliccia non necessaria l’orgoglio e la fierezza. O perlomeno loro (gli animali) così credono. Perché se si mostrassero un po’ più attenti (questi animali) potrebbero vedere come le loro pellicce sono indossate dal pubblico che applaude lì intorno. D’altra parte, il pubblico che crede in una totale trasformazione degli animali sull’arena, se si mostrasse un po’ più attento, potrebbe scorgere una strana brama nei loro occhi. Quella di fare cambio di posto. E di ruolo.


Il camino

Ora persino lui ha ammesso di essere fuori moda. Questa triste verità gli è dimostrata dalla fuliggine nera e fitta che gli ha intasato i polmoni, rischiando di spezzargli del tutto il fiato. Il suo padrone lo accende di rado, molto di rado: una volta in dieci anni. Anche allora sola quando càpitano ospiti famosi. Anche allora solo d’estate. Il che significa che fa così solo per snobismo, senza sentire nessun bisogno del calore liberato dal suo camino, pur tuttavia gioisce come un bambino del fuoco che gli viene acceso sul grembo. Al che, poverino, osa nutrire una piccola speranza. Ma, ahinoi, le lingue delle fiamme (come scherni) non fanno più che leccare quelle mura di pietra, senza essere in grado di graffiare minimamente la fuliggine nera e fitta. Allora il camino si ritira nella sua solitudine e mira con odio e disprezzo palese i suoi rivali vincitori: quelle sottospecie di caloriferi e stufe elettriche che si moltiplicano di giorno in giorni come conigli.
È raro, Dio com’è raro!, che qualche serpente di fulmine abbandoni il cielo, trovi la stretta la gola del camini e bruci incenerendo la fuliggine nera e fitta. Allora e allora soltanto il camino si sente vivo e la sua secolare fuliggine sposando il lampo lancia certe scintille che stupiscono il mondo intero.
Solo che questo avviene una volta in un millennio.


Il compromesso

In una mattino consueto, normale fino al disgusto, tu hai costatato con tema che i tuoi piedi non si fidavano più del suolo, proprio di quel suolo a cui finora avevano creduto ciecamente, poggiandovisi senza posa giorno e notte. Il raggiungimento di questa conclusione ti ha letteralmente sconvolto.
Hai fatto anche un'altra prova. Un’altra. Altre dieci. Altre mille. Ma è stato inutile: le gambe non se l’intendevano più una con l’altra: la sinistra andava avanti, la destra – indietro, la sinistra attaccava a destra, mentre la destra – a sinistra; tu ti stancavi, sudavi tra faticosi tentativi di ritornare ai vecchi tempi, alle tue giornate normali, ma sentivi che oramai era tutto inutile: i millenari equilibri erano crollati, il tuo secolare patto con la terra era rotto una volta per tutte: tu avevi dimenticato di camminare e ogni volta che cercavi di realizzare una cosa simile, somiglia-vi più alla scimmia che non all’uomo, della cui famiglia avevi l’onore di far parte. In definitiva: tu avevi dimenticato di camminare! Senza dubbio la dimenticanza più tragica e più assurda che può capitare aquesta gente che non si è ancora decisa chi chiamare finalmente bisnonno: Adamo (Adem) o La Scimmia (la bestia).
Dopo tale nefasto accorgimento, ti sei ricordato dei cieli, degli spazi, dei voli. Ti sei con-vinto che anche gli uccelli che adesso volano, hanno dapprima dimenticato di camminare. Ma poi ti sei ricordato che il volo da almeno cent’anni è fuori moda. Allora tu, se pur nemico dichiarato dei compromessi di ogni genere, sei stato costretto a farne uno ma questo giusto per garantire la tua esistenza.
Il nocciolo del compromesso è questo: quando cammini, dichiarare agli altri di star volando (così che loro quelli non notino i tuoi terribili difetti in cammino), e quando voli, dichiarar loro di star camminando (così che quelli non ti considerino sgarbato).
Ora come ora, dopo siffatto compromesso, non te la passi poi tanto male.


Il pozzo

È alquanto raro che qualcuno si ricordi di lui e le sue acque mefitiche somigliano ad un’anima deteriorata. Brulicano di ranocchi e serpi d’ogni sorta che pendono per le pietre ammuffite, come gli intenti egoistici nell’anima. La carrucola sopra d’esso è arrugginita e a volte, quando tira vento forte da terre lontane, emette un cigolio come da pianto o da gemito.
Una volta, in un autunno mite e solare, una ragazza disgustata da l’acqua pura delle sorgenti che bevevano tutte le sue amiche, decise di colmare la sua sete con l’acqua sta-gnante del pozzo e, come ce lo si poteva aspettare, s’ammalò: i segni della caducità le si presentarono di colpo.
Imprevisto fu però l’immediato schiarirsi delle acque del pozzo, e la scomparsa di tutte quelle serpi che vi brulicavano da secoli.


La cima e l’abisso

Tu eri deciso a scendere nell’oscuro abisso pericolante per poi risalire in cima alla cima. La tua gente, proprio la gente a te più vicina e più cara, vale a dire i genitori, la sorella, la moglie (la figlia era ancora piccola per intromettersi nei tuoi affari), considerarono te pazzo e pericolosa la tua idea; così che ti contrastarono con tutte le loro forze.
Mentre la gente a te più lontana, vale a dire amici e compagni, compresero e invidiarono la tua idea, ma anche loro ti contrastarono, considerandoti impreparato per una simile impre-sa. Tu all’inizio, cercasti di persuadere la gente a te più prossima che la discesa nell’abisso non doveva essere considerata come una pazzia, anche se a prima vista poteva non sembrare così normale. Loro non compresero affatto e cercarono di trattenerti con la forza.
In simili circostanze tu non avevi altra scelta che uccidere la gente a te più vicina, vale a dire i genitori, la sorella, e la moglie (la figlia era ancora piccola per essere coinvolta in queste cose), e partire per la tua strada. La gente a te più lontana, vale a dire amici e compagni, cercarono di impedirtelo con congegni e sotterfugi d’ogni sorta. In simili circostanze tu non avevi altra scelta che ferirli e voltar loro le spalle.
…Ora sei spuntato dall’abisso e ti accingi a raggiungere la cima.
Sei sicuro che non appena arrivato in cima alla cima, la gente a te più prossima risusci-terà.
Ma temi che le ferite inferte ad amici e compagni diverranno mortali.

versione di A. Cani

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