Il festino
Eravamo in pochi
senza molto da dire.
Il sole si era aggiunto al nostro tavolo
fermandosi agli specchi.
Solo la frutta era smangiata dall’ombra.
La mano rincorreva le frange del sole
sino al finire del tavolo monco.
Bevevamo acqua stagna
qualcuno voleva stare in silenzio
e noi ce lo facevamo stare,
finché il sole rientrato gli si posava sulle spalle.
Parlavamo del tempo, delle virgolette, del carboncino e di teatro.
Parlavamo delle gambe di Maria
Ci si accorse che la frutta stava finendo,
si evocò la nuova che sarebbe maturata…
Eravamo in pochi a voler parlare.
Gli altri se ne stavano lì assenti.
Parlavamo del giorno che s’andava accorciando.
Parlavamo della brezza della sera.
Parlavamo dei seni di Maria.
Eravamo in pochi,
e ora nessuno voleva più parlare.
Qualcuno notò che a sto giro
le parole erano finite prima del mangiare.
Il tintinnio sul tavolo era metallico,
gli stuzzicadenti erano tutti da buttare.
Parlavamo di Maria, della sua scomparsa,
fu invocata la sua tomba.
Non so chi ci fece notare, che lei non era più dei nostri.
I piedi s’agitavano sotto il tavolo.
Segno che le chiacchiere
se non proprio già finite,
presto lo sarebbero state.
Parlavamo di Maria,
della sua vita, della fine.
Bevevamo il caffè a lunghe sorsate
e ci domandavamo
se mai ci sarebbe stata un’altra come lei…
Un albero di mimosa in fiore
Non amava la
poesia
Amave le mimose.
Non aveva parole,
Ma una mimosa in
fiore
Era arrivata a
ricordargli
Una nuvola di
paradiso vellutata
Che scende sulla
terra per raccogliere
Questa nuvola di
paradiso vellutata
di un giallo,
giallo,
giallo
sommigliava in
tutto e per tutto
a una nuvola di
paradiso vellutata
di un velluto,
vellutato,
vellutato.
Non sapeva la
lingua per dirlo ma...
Aveva paura della
nuvola perché sentiva
freddo
un brivido giallo
gli sfiorava la pelle
e diceva,
l'unica volta che
ci riusciva
che una mimosa in fiore
gli dava il
tremito
e diceva
che non poteva
più dire
che temeva
e se temeva
la colpa era
di una mimosa in
fiore
di quella nuvola
di paradiso vellutata
che scende sulla
terra per raccogliere...
Numero Due
Ero folle a credere
Che l’amore viene.
No. L’amore va,
Se ne va sempre.
L’amore non ha un volto.
Ha solo il dorso.
Vive sempre a ritroso,
A volte sul baratro si ferma.
Come la vita.
La piccolo vita, (la vie mineure)
Che perdura.
Questa piccola vita, composta da noi due.
E da tutti gli altri due che ci sono.
Numero due.
Cifra più grande al mondo.
Smisurata.
Mondo conficcato sul petto.
Mondo che vive a ritroso.
Mondo sui dirupi.
Mondo che perdura.
Ero proprio folle a credere
Che l’amore se ne va.
No, l’amore viene.
Si volta e torna indietro.
Chissà?
Fiori sotto la neve
Se tutt’a un tratto
di notte cominciasse a nevicare,
uscirei presto a raccogliere
tutti i fiori
traditi dal bel tempo
Metterei questi fiori dentro l’ovile,
come tante docili pecore
bianche e risolute…,
Stroncate.
E l’ovile sarebbe un grande bouquet
di venti leggeri,
sognanti, raminghi, disperanti.
La morte somiglia a un fiore bianco, è fredda come la neve
che la notte potrebbe all’improvviso cadere
ma è altrettanto simile all’ovile dove le pecore sono fiori
e lei stessa è un bouquet.
Somiglia al vento di ogni fiore mietuto,
che muore e la sua anima diventa profumo.
Se una notte all’improvviso,
cominciasse a nevicare,
uscirei presto per stare
coi fiori sotto la neve anch’io.
Una ferita
Ecco, questo è il mio sangue.
Un attimo fa scorreva nel mio cuore.
Prendilo questo sangue e mettilo sul tuo cielo
come un sole.
Se non va,
mettilo come luna.
Se non va ancora, mettile per quel che è,
come il sangue
che un attimo fa scorreva nel mio cuore
e forse fu lì che vide,
nella rossa oscurità,
gli occhi tuoi
pieni di luce.
La testa del gallo
Nel campo la testa del gallo che cantava.
L’occhio inferiore
su erba rude
che punge come le parole.
L’occhio superiore
rivolto a un cielo vasto
come silenzio.
Il suo sguardo a mo’ di domanda retorica.
Il cielo, l’unica libertà.
Il silenzio, unica scienza.
L’amore, unica dimensione.
Compleanno
Nella poca cenere del nostro focolaio
abbiamo messo quella notte un legno vetusto
Prima di accenderlo
l’abbiamo preso in mano
uno per volta,
Tu hai trovato con il dito il cerchio dell’anno della tua nascita
Io ho trovato con il dito il cerchio dell’anno della mia nascita
Hai messo il dito sul cerchio del tuo anno
Ho messo il dito sul cerchio del mio anno
E siamo rimasti così
Pensierosi
Su la nostra vita…
L’inno della vita
Ho un cuore
che batte di forti desideri
alle porte della gola
Poi mi sdraio
in modo che scorra in me
i più appassionato dei fiumi,
il più puro poiché il più freddo fiume,
i più celeste fiume
Sulle mie labbra solo
la sete è ancora gialla…
Aleksandra
Viaggiano gli autobus nella notte.
Il rumore di uno sembra
quello di una pentola che bolle in silenzio.
Lui ti fa scendere alla mia soglia.
Tu porti le mele,
fiammiferi,
e bussi impaziente.