martedì 3 settembre 2013

Elona Çuliq

 
 
 
 ***
 
Hai sentito
 
come urtano gli alberi nella tempesta? 
 
Come la tua parola sulle mia labbra, 
 
o il tuo respiro caldo quando
 
sbatte sul bianco della mia spalla.
 
Hai sentito le notti, 
 
come si struggono nei pugni sudati, 
 
e baciano le tracce d'ombra, 
per ripagare la mancanza con quel poco di Te.
 
Ricordi come ti agrappavi a me,
 
come un pendolo alla sua eternità,
 
e una ad una mi ripetevi
 
le preghiere, che alla nostra piccola Chiesa
della mancanza
cantavo ogni venerdì santo.
 
Siamo sul baratro del tempo, 
 
e ogni singolo giorno come un'ultima volontà 
 
lo deponiamo ai piedi degli alberi; e nelle sere bramose di luce
 
sgraviamo l'amore dei cieli. 
 
Hai sentito
 
come urtano gli alberi nella tempesta?
 
Così come urto io nei tuoi occhi. 
 
 
* * *
 
Tu sei l'occhio del mio silenzio
la morte di tutte le mie pelli,
il verbo di tutte le mie labbra,
la parola dei miei sogni, tu sei!
Sei tutte le paure che mi dormono nelle mani,
un tocco lacerato nel vento,
bacio che si fonde nell'acquerugiola
d'autunno,
e rinsecchisci la gola arsa degli alberi
brucianti di voglia di vivere.
Sei l'angelo dei miei incubi,
la morte che mi dorme sul capo,
e come una lampadina fai luce
nelle notti scalciate dai rumori
degli spiriti stonati.
Sei il dolore di tutti i miei giorni,
l'ultima volontà dell'alba che si stende sul colle,
la luna che non è sorta ancora dall'occhio del cielo,
la verità negata, tu sei!
 
PER SEMPRE
Rammendi di tempo siamo
a volte noi lo rattoppiamo, a volte esso ci rattoppa 
e pesantemente,
come una goccia di rugiada un prologo di luce,
un sudario di nebbia che avvolgiamo negli occhi
come l'acqua fredda del mattino
per lavare i sogni
che ci dormono sulle palpebre.
Siamo un sempre che è oggi,
momento che si sbriciola nelle lancette
e riempie gli abissi del cielo,
mutilando il petto del Divino con bocconi
di preghiere, di gente, la cui parola si spegne
nel silenzio degli occhi.
Lassù in cima, nelle ghiacciate alture
del tocco mancato, nella sola immaginazione,
nell'ammiccare degli occhi,
gli orizzonti si ravvolgono, o silente!
E il loro crampo ci lava come il pentimento
con vuoti che rimontano i passi dei passanti
per spaventare la paura dalla solitudine del dire.
Questo istante ultimo di "per sempre",
Qualcosa dice con le dita di spiro che mi tessono la pelle
stille di sudore, gemme di sogni che hanno sete.
E io mi sveglio,
in punta di piedi del mio volo,
e abbraccio il cielo con tutto l'arco delle mie braccia,
quell'eternità per cui la vita è solo un passo, una parola,
quanto uno sguardo e una promessa che non si dice in parole,
ma solo con battiti di cuore. 


* * *

Lascia che scuota i peccati
della notte sul corpo,
e con sogni di fonte,
ti rinfreschi, poiché non dimentichi
mai di spalmere le mie tende
dell'attesa con l'alba che candida
respira nelle ombre dei muri
del tuo regno di silenzio,
e sul fare del giorno,
si scolpisce come un Deus di luce,
nelle mie mani sminuite
dalle scaglie di vita.
Voglio poter metter freno alla tua corsa
e piantare i tuoi passi come semi di fiore
nel mio giardino dell'agonia,
perché il giorno non è lontano
quando gli occhi sboccieranno
nella rosa del tuo tempo.
Sei agonia!
Scorribanda dei cieli che sconvogle
le stagioni,
e li battezza con l'autunno
perenne.
Sei alba, che ti delizï dell'attesa
tra i risvolti della tenda,
e con le mani unte di tenebra
tessi nel telaio del mio soffitto
una collina con relievi d'acqua,
che da un'alba all'altra, faccia nascere
il sole nel mio occhio.