Ero su questo treno che faceva un tratta lunga ma propria lunga come la transsiberiana. A un certo punto appare una splendida stazione. Il treno ferma. La gente scende a fiotti. Io decido di fare lo stesso. Si entra tutti lì. In questa stazione tutto è impeccabile. Le sedie sono dei troni forgiati in oro. I servizi del tè poi non parliamone. Dopo il tè noto una cosa. Tutti quelli scesi con me, ritornano verso il treno. Sono perplesso. Ma non demordo. Io non sono sceso per fare una pausa, tanto il tè lo potevo bere in uno dei vagoni ristorante. Comunque è vero che sù non è permesso fumare. Allora esco dalla stazione dalla parte della strada, direzione città. Ma che vedere: una desolatissima landa che annega all’orizzonte. Stupito, indugo un attimo. Capisco che non c’è altro da fare che risalire a bordo. Ma una volta raggiunto i binari, del treno nemmeno l’ombra. A questo punto mi tocca aspettare lì a lungo, per anni. Soppravvivo, sono albanese. Dopo di che nell ottavo anno di vita erma, ecco il treno. Lo stesso. Quelli che scendono sono stupiti nel vedermi. Forse non tanto per il mio aspetto, quanto per il fatto che io mi trovavo proprio lì in quella stazione. Dopo il loro tè, il treno riparte. Forse tra i scesi c’è stato qualcuno che ha rifatto il mio datato errore. Senza forse, ma sicuramente. Ma forse non è nemmeno un errore. E questa stazione non è del tutto inutile.
Il treno
viaggia. I paesaggi si alterano come le stagioni. Solo la gente è sempre
quella. La gente muta in sé, questo è vero, ma nel mutare,
nell’affacendarsi ricrea sempre la stessa cosa: la quotidianità.
All’improvviso, senza che nemmeno io me ne sia accorto, mi ero buttato dal treno in corsa, a capofitto in un combusto paesaggio, foresta uccisa come quelle de “La Strada” di Cormac McCarthy. Perché l’ho fatto? Non lo so. So solo che non aspetterò più nessun treno. Volterò per sempre le spalle ai binari, quelli che portano da qualche parte. Qui le possibilità di soppravvivenza sono pari a zero. Le possibilità di riscatto pure. Ma qui non c’è nessuno dei ricatti che condizionano la quatidianità di quelli. Qui le possibilità di soppravvivenza sono minime. Acqua di pioggia, principalmente. Questa è la morte. Ma io vado avanti. A capo di non molto tempo, dietro quella foresta uccisa, sbuco a Eldorado. Quella desolazione nascondeva la città promessa. Una fittissima giungla bruciata, per avere così il sentiero per Eldorado.
All’improvviso, senza che nemmeno io me ne sia accorto, mi ero buttato dal treno in corsa, a capofitto in un combusto paesaggio, foresta uccisa come quelle de “La Strada” di Cormac McCarthy. Perché l’ho fatto? Non lo so. So solo che non aspetterò più nessun treno. Volterò per sempre le spalle ai binari, quelli che portano da qualche parte. Qui le possibilità di soppravvivenza sono pari a zero. Le possibilità di riscatto pure. Ma qui non c’è nessuno dei ricatti che condizionano la quatidianità di quelli. Qui le possibilità di soppravvivenza sono minime. Acqua di pioggia, principalmente. Questa è la morte. Ma io vado avanti. A capo di non molto tempo, dietro quella foresta uccisa, sbuco a Eldorado. Quella desolazione nascondeva la città promessa. Una fittissima giungla bruciata, per avere così il sentiero per Eldorado.
Adesso
vivo in Eldorado, e passo le giornate a lavarore nel ramo dell’oro. Le
mie mani valgono oro. Ogni tanto sogno il treno. Ne sto faccendo uno
enorme, tutto in oro. Mi coricherò lì dentro, quando mi toccherà rendere
l’anima.
17 giugno 2008